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Meeting Beaulieu-sur-Mer 11-12 March 2005 - Italy

SCHEMA DI RELAZIONE

(Beaulieu-sur-mer, 11-12 marzo 2005)


Abstract

I. Direct Access of non profit-making organizations to the administrative judge.

Under the Italian legislation, any collective entity (i.e. associations, political parties, etc.), regardless of its legal status, is entitled to initiate a procedure in an administrative court, provided that it has a relevant interest.

According to the law, the judge must conform to a grid of jurisprudencial indexes in order to differentiate specific positions; furthermore, in some cases, the law specifies the criteria the judge has to follow in order to decide whether specific subjects can or cannot resort to court.

Once entitlement to access the judge is recognized, a NGO can ask for:
  quashing or modifying either general statutory rules or individual administrative acts;
  compensation for moral wrong or any material loss suffered.

The interest to be put forward must be referred either to the entity as a whole or to the community. No interest of a single member of an organization deserves protection if it does not coincide with the collective interest.

The criteria of standing are established by the law or by the judge. They are based essentially on a representation criterion of the organizations, stemming from indexes such as statutory purposes, degree continuity in the activity and connection with the area the organization is located in. In some cases, law requires a minimum number of members in the organization and an internal democratic system of rules.

The fields the NGOs can operate in are mostly environment, construction and town planning, consumers protection, electoral disputes.

In the administrative legal system, individuals are favoured, compared to NGOs, just in being recognized the standing.
In other fields, NGOs receive almost the same degree of protection as in the administrative system. Specific provisions regard criminal or civil cases.


II. Indirect access in order to support an individual person for a previously action being brought by him/her or against him/her

A general indirect access, with very few exceptions, is recognized to the NGOs (so called “intervento” ad adiuvandum or ad opponendum).


I. Accesso diretto di organizzazioni non lucrative al giudice amministrativo.

1. Le organizzazioni legittimate a ricorrere in giudizio.
(punti 1 - “Quali organizzazioni possono iniziare una procedura?” - e 2 - “Quali regole sanciscono tale possibilità?” - dello schema proposto).

L’art. 24 della Costituzione italiana, a mente del quale “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”, esclude che possano essere stabilite limitazioni al novero dei soggetti abilitati ad adire gli organi di giurisdizione. La dizione della norma, volutamente generica quanto al soggetto (essa riguarda sia le persone fisiche sia gli organismi composti da una collettività di individui, purché dotati, come si vedrà, di una forma di soggettività qualificata), con l’aggettivo “propri” connota le possibilità di tutela in termini individualistici: l’accesso al giudice è consentito solo per la difesa di un “proprio” diritto o interesse, il che impedisce, almeno in via tendenziale, la tutela di interessi “altrui” (vi sono infatti limitatissime eccezioni a tale regola) o di interessi indistintamente appartenenti a “tutti”, in quanto tali non imputati a soggetti ben determinati o determinabili.
Con specifico riferimento al giudice amministrativo, occorre considerare l’art. 26 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 (c.d. testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato) ed il successivo (ma non innovativo) art. 4 l. 6 dicembre 1971, n. 1034 (legge sui T.a.r.).
Secondo la prima di tali disposizioni, “spetta al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale di decidere sui ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere o per violazione di legge, contro atti e provvedimenti di un’autorità amministrativa o di un corpo amministrativo deliberante, che abbiano per oggetto un interesse d’individui o di enti morali giuridici […]”; l’art. 4 l. n. 1034/71, che devolve al neo-istituito giudice di primo grado le medesime competenze precedentemente riconosciuta al solo Consiglio di Stato, si esprime in termini di ricorsi aventi ad oggetto “diritti ed interessi di persone fisiche o giuridiche”.
La formulazione delle norme ne consente di percepire l’inequivoca impostazione incentrata sulla natura individuale della posizione giuridica dedotta in giudizio [1]. Esse, concepite in un contesto socio-economico ormai superato, lasciano cioè al di fuori del loro raggio d’azione i c.d. interessi superindividuali (o seriali, in quanto simultaneamente riferibili ad una pluralità di soggetti), sviluppatisi progressivamente nel corso degli ultimi decenni in concomitanza con l’emergere di posizioni ed aspirazioni connotate da una valenza spiccatamente collettiva (es. ambiente, tutela del consumatore).
Il problema della tutela di questo tipo di interessi è stato in Italia inizialmente affrontato dalla giurisprudenza, le cui indicazioni sono state successivamente recepite (pur se con riguardo ad ambiti di intervento ben definiti) dal legislatore.

L’opera della giurisprudenza

Lo sforzo della giurisprudenza è consistito, in sostanza, nel coniugare il principio cardine della tutela giurisdizionale degli interessi sostanzialmente collegati a una posizione di vantaggio personale e differenziata (art. 24 Cost. e art. 26 r.d. 1054/1924 citati), con quello della natura degli interessi superindividuali, per definizione non differenziati in quanto il singolo non vanta, rispetto ad essi, nulla di diverso rispetto ad altri soggetti (essi sono stati per tale ragione definiti “adespoti”).
La tecnica adoperata è stata per un verso quella di estendere la nozione di interesse legittimo, svincolandola dalla tradizionale concezione personalistica, attraverso la valorizzazione del principio desumibile dall’art. 2 Cost. (“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”). In tal modo gli interessi “diffusi” sono stati ricondotti nell’alveo dell’interesse legittimo.
Per altro verso, si è cercato di distinguere, all’interno della categoria degli interessi superindividuali, tra “interessi diffusi” propriamente detti, vale a dire quelli privi di un titolare, latenti nella comunità e ancora allo stato fluido, e quelli denominati “interessi collettivi”, caratterizzati dalla loro inerenza ad enti esponenziali di gruppi non occasionali della più varia natura giuridica. In sostanza, perché l’interese diffuso si soggettivizzi e diventi pertanto “giustiziabile”, occorre individuare “organismi collettivi che agiscono istituzionalmente e statutariamente per la tutela di questo interesse”, organismi i quali, “proprio per la particolarità del fine che perseguono, emergono dalla collettività indifferenziata e si fanno portatori delle istanze del gruppo sociale di cui sono esponenziali”. In quest’ottica, l’interesse collettivo viene definito come “l’interesse al corretto esercizio del potere amministrativo da parte di una organizzazione di tipo associativo” [2].
Soffermandoci sulla tipologia di organizzazioni non lucrative per le quali è possibile l’accesso alla giustizia amministrativa, si è da subito riconosciuta l’irrilevanza del dato formale della personalità giuridica.
Occorre al riguardo premettere che nel nostro ordinamento i soggetti composti da una pluralità di persone fisiche si distinguono in due grandi categorie: le persone giuridiche e, residualmente, gli enti associativi che non posseggono tale requisito [3]. Inizialmente la giurisprudenza aveva riservato solo alle prime la possibilità di ricorrere in giudizio. Ma tale limite è stato quasi immediatamente superato, in base al duplice rilievo che la personalità giuridica attiene unicamente alla sfera patrimoniale (consentendo la costituzione di un patrimonio entro certi aspetti separato e distinto da quello dei singoli associati) e che la dottrina civilistica era giunta a riconoscere la soggettività giuridica anche alle associazioni non riconosciute o di fatto, considerate autonomi centri di imputazione di situazioni soggettive, dotati di capacità sostanziale e processuale [4].
Tanto chiarito, è evidente che per la giurisprudenza italiana, in difetto di chiari canoni normativi, possono agire innanzi al giudice amministrativo tutti i tipi di associazione, indipendentemente dalla relativa forma giuridica.
Occorre ancora precisare che in Italia le associazioni maggiormente rilevanti per la vita politico-istituzionale, ossia i partiti, i sindacati e le loro federazioni, sono generalmente organizzati sotto forma di associazioni non riconosciute.
La veste degli altri enti genericamente definiti non-profit è varia. In disparte le fondazioni (che per il diritto interno sono viste come “patrimoni destinati ad uno scopo”), esse sono di norma associazioni, per le quali, come si è visto, è irrilevante – ai fini dell’accesso al giudice – la forma giuridica [5].
Esiste peraltro un’altra categoria di enti non-profit tradizionalmente ritenuti organismi pubblici. Si tratta degli ordini e dei collegi professionali, i quali, appartenendo al novero delle c.d. associazioni di categoria (unitamente ai sindacati), possono azionare forme di tutela giurisdizionale nei limiti che si vedranno.

b) Le iniziative legislative

Anche il legislatore ha iniziato a tener conto delle istanze progressivamente emerse nel corpo sociale.
Giova qui ricordare:

 in materia ambientale, l’art. 13 l. 8 luglio 1986, n. 349:

1. Le associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale e quelle presenti in almeno cinque regioni sono individuate con decreto del Ministro dell’ambiente sulla base delle finalità programmatiche e dell’ordinamento interno democratico previsti dallo statuto, nonché della continuità dell’azione e della sua rilevanza esterna, previo parere del Consiglio nazionale per l’ambiente da esprimere entro novanta giorni dalla richiesta. Decorso tale termine senza che il parere sia stato espresso, il Ministro dell’ambiente decide (1).
2. Il Ministro, al solo fine di ottenere, per la prima composizione del Consiglio nazionale per l’ambiente, le terne di cui al precedente art. 12, comma 1, lett. c) , effettua, entro trenta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, una prima individuazione delle associazioni a carattere nazionale e di quelle presenti in almeno cinque regioni, secondo i criteri di cui al precedente comma 1, e ne informa il Parlamento (2).

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(1) Il 1° comma è stato così modificato dall’art. 17, l. 23 marzo 2001, n. 93.
(2) Le associazioni di protezione ambientale di cui al presente articolo, possono proporre le azioni risarcitorie di competenza del giudice ordinario che spettino al Comune e alla Provincia, conseguenti a danno ambientale. L’eventuale risarcimento è liquidato in favore dell’ente sostituito e le spese processuali sono liquidate in favore o a carico dell’associazione (art. 4, l. 3 agosto 1999, n. 265).

 in materia di tutela del consumatore, l’art. 3 (“legittimazione ad agire”) della l. 30 luglio 1998, n. 281, intitolata “Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti”:

1. Le associazioni dei consumatori e degli utenti inserite nell’elenco di cui all’articolo 5 sono legittimate ad agire a tutela degli interessi collettivi, richiedendo al giudice competente:
a) di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti;
b) di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate;
c) di ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità del provvedimento può contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate.
1-bis. Gli organismi pubblici indipendenti, e le organizzazioni riconosciuti in altro Stato dell’Unione europea ed inseriti nell’elenco degli enti legittimati a proporre azioni inibitorie a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, possono agire ai sensi del comma 1 nei confronti di atti o comportamenti lesivi per i consumatori del proprio Paese, posti in essere in tutto o in parte sul territorio dello Stato. (1)
2. Le associazioni di cui al comma 1 e gli organismi e le organizzazioni di cui al comma 1-bis possono attivare, prima del ricorso al giudice, la procedura di conciliazione dinanzi alla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura competente per territorio a norma dell’articolo 2, comma 4, lettera a) , della legge 29 dicembre 1993, n. 580. La procedura è, in ogni caso, definita entro sessanta giorni. (2) 
3. Il processo verbale di conciliazione, sottoscritto dalle parti e dal rappresentante della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, è depositato per l’omologazione nella cancelleria della pretura del luogo nel quale si è svolto il procedimento di conciliazione.
4. Il pretore, accertata la regolarità formale del processo verbale, lo dichiara esecutivo con decreto. Il verbale di conciliazione omologato costituisce titolo esecutivo.
5. In ogni caso l’azione di cui al comma 1 può essere proposta solo dopo che siano decorsi quindici giorni dalla data in cui le associazioni abbiano richiesto al soggetto da esse ritenuto responsabile, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, la cessazione del comportamento lesivo degli interessi dei consumatori e degli utenti.
5-bis. In caso di inadempimento degli obblighi stabiliti dal provvedimento reso nel giudizio di cui al comma 1, ovvero previsti dal verbale di conciliazione di cui al comma 4, il giudice, anche su domanda dell’associazione che ha agito in giudizio, dispone il pagamento di una somma di denaro da 516 euro a 1.032 euro, per ogni giorno di ritardo rapportato alla gravità del fatto. Tale somma è versata all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnata con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze al Fondo da istituire nell’ambito di apposita unità previsionale di base dello stato di previsione del Ministero delle attività produttive, per finanziare iniziative a vantaggio dei consumatori. (3)
6. Nei casi in cui ricorrano giusti motivi di urgenza, l’azione inibitoria si svolge a norma degli articoli 669- bis e seguenti del codice di procedura civile.
7. Fatte salve le norme sulla litispendenza, sulla continenza, sulla connessione e sulla riunione dei procedimenti, le disposizioni di cui al presente articolo non precludono il diritto ad azioni individuali dei consumatori che siano danneggiati dalle medesime violazioni.

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(1) Comma aggiunto dall’art. 2, d.lg. 23 aprile 2001, n. 224. 
(2) Comma modificato dall’art. 2, d.lg. 23 aprile 2001, n. 224. 
(3) Comma aggiunto dall’art. 11, l. 1° marzo 2002, n. 39.

nonché l’art. 7 (“tutela amministrativa e giurisdizionale”) del d.lgs. 25 gennaio 1992, n. 74 (Attuazione della direttiva 84/450/CEE, come modificata dalla direttiva 97/55/CE in materia di pubblicità ingannevole e comparativa), nel testo vigente (l’art. 7 è stato modificato ad opera prima dell’art. 5, d.lgs. 25 febbraio 2000, n. 67, e, da ultimo, dall’art. 1 l. 6 aprile 2005, n. 49):

1. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, istituita dall’articolo 10 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, esercita le attribuzioni disciplinate dal presente articolo.
2. I concorrenti, i consumatori, le loro associazioni ed organizzazioni, il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, nonché ogni altra pubblica amministrazione che ne abbia interesse in relazione ai propri compiti istituzionali, anche su denuncia del pubblico, possono chiedere all’autorità garante che siano inibiti gli atti di pubblicità ingannevole o di pubblicità comparativa ritenuta illecita ai sensi del presente decreto, la loro continuazione e che ne siano eliminati gli effetti.
3. L’Autorità può disporre con provvedimento motivato la sospensione provvisoria della pubblicità ingannevole o della pubblicità comparativa ritenuta illecita, in caso di particolare urgenza. In ogni caso, comunica l’apertura dell’istruttoria all’operatore pubblicitario e, se il committente non è conosciuto, può richiedere al proprietario del mezzo che ha diffuso il messaggio pubblicitario ogni informazione idonea ad identificarlo. L’Autorità può inoltre richiedere all’operatore pubblicitario, ovvero al proprietario del mezzo che ha diffuso il messaggio pubblicitario, di esibire copia del messaggio pubblicitario ritenuto ingannevole o illecito, anche avvalendosi, nei casi di inottemperanza, dei poteri previsti dall’articolo 14, commi 2, 3 e 4, della legge 10 ottobre 1990, n. 287. 
4. L’Autorità può disporre che l’operatore pubblicitario fornisca prove sull’esattezza materiale dei dati di fatto contenuti nella pubblicità se, tenuto conto dei diritti o interessi legittimi dell’operatore pubblicitario e di qualsiasi altra parte nella procedura, tale esigenza risulti giustificata, date le circostanze del caso specifico. Se tale prova è omessa o viene ritenuta insufficiente, i dati di fatto dovranno essere considerati inesatti. 
5. Quando il messaggio pubblicitario è stato o deve essere diffuso attraverso la stampa periodica o quotidiana ovvero per via radiofonica o televisiva o altro mezzo di telecomunicazione, l’Autorità Garante, prima di provvedere, richiede il parere dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
6. L’Autorità provvede con effetto definitivo e con decisione motivata. Se ritiene la pubblicità ingannevole o il messaggio di pubblicità comparativa illecito accoglie il ricorso vietando la pubblicità non ancora portata a conoscenza del pubblico o la continuazione di quella già iniziata. Con la decisione di accoglimento può essere disposta la pubblicazione della pronuncia, anche per estratto, nonché, eventualmente, di un’apposita dichiarazione rettificativa in modo da impedire che la pubblicità ingannevole o il messaggio di pubblicità comparativa ritenuto illecito continuino a produrre effetti. 
6-bis. Con la decisione che accoglie il ricorso l’Autorità dispone inoltre l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 100.000 euro, tenuto conto della gravità e della durata della violazione. Nel caso dei messaggi pubblicitari ingannevoli di cui agli articoli 5 e 6 la sanzione non può essere inferiore a 25.000 euro.
7. Nei casi riguardanti messaggi pubblicitari inseriti sulle confezioni di prodotti, l’Autorità, nell’adottare i provvedimenti indicati nei commi 3 e 5, assegna per la loro esecuzione un termine che tenga conto dei tempi tecnici necessari per l’adeguamento. 
8. La procedura istruttoria è stabilita con regolamento, emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, in modo da garantire il contraddittorio, la piena cognizione degli atti e la verbalizzazione (1). 
9. In caso di inottemperanza ai provvedimenti d’urgenza e a quelli inibitori o di rimozione degli effetti, l’Autorità applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro. Nei casi di reiterata inottemperanza l’Autorità può disporre la sospensione dell’attività di impresa per un periodo non superiore a trenta giorni.
10. In caso di inottemperanza alle richieste di fornire le informazioni o la documentazione di cui al comma 3, l’Autorità applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 a 20.000 euro. Qualora le informazioni o la documentazione fornite non siano veritiere, l’Autorità applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 4.000 a 40.000 euro (10).
11. I ricorsi avverso le decisioni definitive adottate dall’Autorità rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Per le sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alle violazioni del presente decreto si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel capo I, sezione I, e negli articoli 26, 27, 28 e 29 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni. Il pagamento delle sanzioni amministrative di cui al presente articolo deve essere effettuato entro trenta giorni dalla notifica del provvedimento dell’Autorità. 
12. Ove la pubblicità sia stata assentita con provvedimento amministrativo, preordinato anche alla verifica del carattere non ingannevole della stessa o di liceità del messaggio di pubblicità comparativa, la tutela dei concorrenti, dei consumatori e delle loro associazioni e organizzazioni è esperibile solo in via giurisdizionale con ricorso al giudice amministrativo avverso il predetto provvedimento.
13. È comunque fatta salva la giurisdizione del giudice ordinario, in materia di atti di concorrenza sleale, a norma dell’articolo 2598 del codice civile nonché, per quanto concerne la pubblicità comparativa, in materia di atti compiuti in violazione della disciplina sul diritto d’autore protetto dalla legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni e del marchio d’impresa protetto a norma del regio decreto 21 giugno 1942, n. 929, e successive modificazioni, nonché delle denominazioni di origine riconosciute e protette in Italia e di altri segni distintivi di imprese, beni e servizi concorrenti. 
14. Per la tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti derivanti dalle disposizioni del presente decreto si applica l’articolo 3 della legge 30 luglio 1998, n. 281. 


(1) In attuazione di quanto disposto dal presente comma v. il d.P.R. 11 luglio 2003, n. 284.

 la “disciplina delle associazioni di promozione sociale”, di cui alla l. 7 dicembre 2000, n. 383

Art. 2
Associazioni di promozione sociale. 
1. Sono considerate associazioni di promozione sociale le associazioni riconosciute e non riconosciute, i movimenti, i gruppi e i loro coordinamenti o federazioni costituiti al fine di svolgere attività di utilità sociale a favore di associati o di terzi, senza finalità di lucro e nel pieno rispetto della libertà e dignità degli associati.
2. Non sono considerate associazioni di promozione sociale, ai fini e per gli effetti della presente legge, i partiti politici, le organizzazioni sindacali, le associazioni dei datori di lavoro, le associazioni professionali e di categoria e tutte le associazioni che hanno come finalità la tutela esclusiva di interessi economici degli associati.
3. Non costituiscono altresì associazioni di promozione sociale i circoli privati e le associazioni comunque denominate che dispongono limitazioni con riferimento alle condizioni economiche e discriminazioni di qualsiasi natura in relazione all’ammissione degli associati o prevedono il diritto di trasferimento, a qualsiasi titolo, della quota associativa o che, infine, collegano, in qualsiasi forma, la partecipazione sociale alla titolarità di azioni o quote di natura patrimoniale.

Art. 7
Registri.
1. Presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per gli affari sociali è istituito un registro nazionale al quale possono iscriversi, ai fini dell’applicazione della presente legge, le associazioni di promozione sociale a carattere nazionale in possesso dei requisiti di cui all’art. 2, costituite ed operanti da almeno un anno. Alla tenuta del registro si provvede con le ordinarie risorse finanziarie, umane e strumentali del Dipartimento per gli affari sociali.
2. Per associazioni di promozione sociale a carattere nazionale si intendono quelle che svolgono attività in almeno cinque regioni ed in almeno venti province del territorio nazionale.
3. L’iscrizione nel registro nazionale delle associazioni a carattere nazionale comporta il diritto di automatica iscrizione nel registro medesimo dei relativi livelli di organizzazione territoriale e dei circoli affiliati, mantenendo a tali soggetti i benefici connessi alla iscrizione nei registri di cui al comma 4.
4. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano istituiscono, rispettivamente, registri su scala regionale e provinciale, cui possono iscriversi tutte le associazioni in possesso dei requisiti di cui all’art. 2, che svolgono attività, rispettivamente, in ambito regionale o provinciale.

 la “disciplina delle associazioni di volontariato”, di cui alla l. 11 agosto 1991, n. 266 (ai sensi dell’art. 2, 1° comma, di tale legge, per attività di volontariato “deve intendersi quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà”:

Art. 3
Organizzazioni di volontariato.
1. È considerato organizzazione di volontariato ogni organismo liberamente costituito al fine di svolgere l’attività di cui all’articolo 2, che si avvalga in modo determinante e prevalente delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti. 
2. Le organizzazioni di volontariato possono assumere la forma giuridica che ritengono più adeguata al perseguimento dei loro fini, salvo il limite di compatibilità con lo scopo solidaristico.
3. Negli accordi degli aderenti, nell’atto costitutivo o nello statuto, oltre a quanto disposto dal codice civile per le diverse forme giuridiche che l’organizzazione assume, devono essere espressamente previsti l’assenza di fini di lucro, la democraticità della struttura, l’elettività e la gratuità delle cariche associative nonché la gratuità delle prestazioni fornite dagli aderenti, i criteri di ammissione e di esclusione di questi ultimi, i loro obblighi e diritti. Devono essere altresì stabiliti l’obbligo di formazione del bilancio, dal quale devono risultare i beni, i contributi o i lasciti ricevuti, nonché le modalità di approvazione dello stesso da parte dell’assemblea degli aderenti.
4. Le organizzazioni di volontariato possono assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo esclusivamente nei limiti necessari al loro regolare funzionamento oppure occorrenti a qualificare o specializzare l’attività da esse svolta.
5. Le organizzazioni svolgono le attività di volontariato mediante strutture proprie o, nelle forme e nei modi previsti dalla legge, nell’ambito di strutture pubbliche o con queste convenzionate.

c) Conclusioni

Si può concludere sul punto affermando che, secondo il diritto positivo interno, possono ricorrere innanzi al giudice amministrativo tutti i tipi di organizzazione non-profit, occorrendo tuttavia in alcuni casi una intermediazione del giudice (in generale) ovvero dell’autorità amministrativa (v. sub b).
Rimane fermo il problema se in queste ultime ipotesi residui uno spazio di legittimazione per soggetti diversi da quelli espressamente contemplati dal legislatore (assumendosi, da parte di alcuni, l’intangibilità del potere del giudice di verificare la legitimatio ad causam dei ricorrenti; tesi del “doppio binario” [6]).



2. Tipologia di azioni ammissibili e interessi tutelabili.
(punti 3 - “Che tipo di procedure possono intraprendere?” - e 4 - “A difesa di quali tipologie di interessi possono ricorrere?” - dello schema proposto).

Giurisdizione generale di legittimità e sue limitazioni

Nel nostro ordinamento il ricorso al giudice amministrativo è comunemente preordinato all’annullamento degli atti illegittimi della pubblica amministrazione, indipendentemente dalla natura generale o individuale degli stessi (v. art. 113 Cost.).
In ragione di ciò, possono essere impugnati tanto provvedimenti regolamentari (normativi) o generali (direttive, atti di programmazione, piani urbanistici), quanto provvedimenti individuali.
Non è invece ammesso, nelle ipotesi di ordinario giudizio di cognizione, l’esercizio da parte del giudice di un potere volto alla modificazione dell’atto impugnato (salvo ulteriori precisazioni non rilevanti ai fini del discorso).
Quando però la decisione sia divenuta definitiva, l’esecuzione della medesima è affidata, nel caso in cui il soggetto pubblico non ottemperi, al giudice medesimo, il quale potrà stavolta esercitare poteri c.d. “di merito”, sostituendosi in tal caso all’amministrazione ed eventualmente modificando il tenore della determinazione amministrativa.
Questa fase esecutiva è di norma riservata all’iniziativa delle parti originarie del giudizio di cognizione.
Le azioni in astratto esercitabili – e gli atti in concreto impugnabili - soffrono tuttavia alcune limitazioni in relazione al tipo di interesse fatto valere in giudizio.
Ad esempio, è principio costantemente affermato in giurisprudenza che le associazioni di categoria, sicuramente legittimate a tutelare interessi ed attribuzioni proprie dell’associazione, possono agire avverso atti concernenti singoli associati solo se ed in quanto gli stessi concretino anche una lesione dell’interesse collettivo statutariamente tutelato da dette associazioni, altrimenti l’azione si tradurrebbe in una non consentita sostituzione processuale (cfr. art. 81 c.p.c.).
Coerentemente, si esclude che esse possano far valere gli interessi di un iscritto contro quelli di un altro iscritto (innescando in tal modo un conflitto di interessi) ovvero quelli esclusivi di un singolo associato [7].
Fino a poco tempo fa si escludeva la possibilità di impugnare i provvedimenti c.d. assolutori, ossia quelli con i quali la pubblica autorità conclude un procedimento repressivo, eventualmente intrapreso dietro segnalazione o denuncia di un interessato, con il mancato esercizio della inerente potestà (l’atto finale è generalmente denominato “archiviazione”; con esso l’autorità preposta alla vigilanza o al controllo esclude la violazione delle norme-parametro da parte dei soggetti vigilati o controllati).
Si sosteneva in particolare che la legittimazione dei terzi denuncianti potesse derivare unicamente dall’applicazione delle regole ordinarie, richiedendosi, in sintesi, che per contestare l’esercizio del potere negativo i terzi dovessero dimostrare di trovarsi in posizione differenziata rispetto al resto della collettività (es. in materia edilizia è stato affermato il criterio dellavicinitas [8]). Ciò aveva portato, ad esempio, ad escludere la legittimazione delle associazioni ambientalistiche o dei consumatori rispetto ad una importante serie di provvedimenti.
L’orientamento tradizionale è stato tuttavia sottoposto a recente rivisitazione.
È stato infatti sostenuto, con precipuo riferimento agli atti dell’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato in materia di pubblicità ingannevole, che non solo le associazioni di categoria di imprese [9], ma anche le associazioni dei consumatori e degli utenti di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74/92 possono contestare il mancato intervento dell’Autorità medesima, posto che la disciplina in tema di pubblicità ingannevole mira a garantire, oltre che il rispetto delle regole di libera e corretta concorrenza tra le imprese, anche l’interesse alla corretta informazione del consumatore [10].
Sotto il profilo della tipologia di atti impugnabili si è posto un rilevante problema concernente la posizione delle associazioni ambientalistiche di cui all’art. 13 l. n. 349/1986: all’iniziale orientamento restrittivo, secondo il quale era alle stesse consentita solamente l’impugnazione dei provvedimenti costituenti specifica espressione delle potestà amministrative previste dalla normativa ambientale, con esclusione degli atti aventi, ad esempio, valenza meramente urbanistica [11], si è contrapposta un’impostazione tesa a riconoscere la legittimazione a contestare tutti gli atti amministrativi che, pur avendo precipuamente ad oggetto aspetti urbanistici e sanitari, siano comunque suscettibili di ledere, sebbene in modo indiretto, il bene ambiente [12].
Connesso al precedente è il tema dei vizi denunciabili, essendosi inizialmente ipotizzato che le associazioni ambientalistiche potessero censurare solamente le illegittimità in qualche misura collegate con gli interessi di cui esse sono portatrici. Di recente si è però affermato che non esistono limiti alle doglianze deducibili (purché potenzialmente idonee a condurre all’annullamento del provvedimento impugnato), le quali possono concernere anche interessi pubblici di natura diversa rispetto a quello alla tutela ambientale [13].
Va ancora ricordato come talvolta sia il legislatore a definire espressamente l’ambito di legittimazione degli organismi collettivi.
Si consideri ad esempio l’art. 146, 11° comma, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 41 (Codice dei beni culturali), a tenore del quale

11. L’autorizzazione paesaggistica è impugnabile con ricorso al tribunale amministrativo regionale o con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, dalle associazioni ambientaliste portatrici di interessi diffusi individuate ai sensi dell’articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349 e da qualsiasi altro soggetto pubblico o privato che ne abbia interesse. Il ricorso è deciso anche se, dopo la sua proposizione ovvero in grado di appello, il ricorrente dichiari di rinunciare o di non avervi più interesse. Le sentenze e le ordinanze del Tribunale amministrativo regionale possono essere impugnate da chi sia legittimato a ricorrere avverso l’autorizzazione paesaggistica, anche se non abbia proposto il ricorso di primo grado.

ovvero l’art. 27 l. 383/2000, che pare definire l’ambito di legittimazione delle associazioni di promozione sociale:

Art. 27
(Tutela degli interessi sociali e collettivi)
1. Le associazioni di promozione sociale sono legittimate:
a) a promuovere azioni giurisdizionali e ad intervenire nei giudizi promossi da terzi, a tutela dell’interesse dell’associazione;
b) ad intervenire in giudizi civili e penali per il risarcimento dei danni derivanti dalla lesione di interessi collettivi concernenti le finalità generali perseguite dall’associazione;
c) a ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi lesivi degli interessi collettivi relativi alle finalità di cui alla lettera b).
2. Le associazioni di promozione sociale sono legittimate altresì ad intervenire nei procedimenti amministrativi ai sensi dell’articolo 9 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Diritto di accesso

È espressamente prevista dal legislatore la possibilità di esercitare il diritto d’accesso ai documenti amministrativi [14] (possibilità che peraltro soggiace ad alcuni limiti).
È stata pertanto riconosciuta la legittimazione delle associazioni inserite nell’elenco delle associazioni degli utenti di cui alla l. n. 281 del 1998 [15], di quelle sindacali [16], delle associazioni di promozione sociale e delle associazioni di volontariato (peraltro espressamente contemplata da norme di legge [17]).

Risarcimento del danno

È ormai possibile chiedere il risarcimento dei danni derivante da lesione dell’interesse legittimo.
La cognizione di queste azioni pare riservata al giudice amministrativo, come di recente affermato, dopo alcune incertezze, dal giudice della giurisdizione [18] (vi sono ancora dubbi sulla giurisidizione in materia di danno da ritardo).
Regole peculiari sono dettate in materia di danno ambientale.
L’art. 18 l. n. 349/1986 sancisce infatti:

1. Qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che comprometta l’ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, obbliga l’autore del fatto al risarcimento nei confronti dello Stato.
2. Per la materia di cui al precedente comma 1 la giurisdizione appartiene al giudice ordinario, ferma quella della Corte dei conti, di cui all’articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3.
3. L’azione di risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale, è promossa dallo Stato, nonché dagli enti territoriali sui quali incidano i beni oggetto del fatto lesivo.
4. Le associazioni di cui al precedente articolo 13 e i cittadini, al fine di sollecitare l’esercizio dell’azione da parte dei soggetti legittimati, possono denunciare i fatti lesivi di beni ambientali dei quali siano a conoscenza.
5. Le associazioni individuate in base all’articolo 13 della presente legge possono intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi.
6. Il giudice, ove non sia possibile una precisa quantificazione del danno, ne determina l’ammontare in via equitativa, tenendo comunque conto della gravità della colpa individuale, del costo necessario per il ripristino e del profitto conseguito dal trasgressore in conseguenza del suo comportamento lesivo dei beni ambientali.
7. Nei casi di concorso nello stesso evento di danno, ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilità individuale.
8. Il giudice, nella sentenza di condanna, dispone, ove possibile, il ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsabile.
(omissis)

È interessante notare, in riferimento al danno ambientale, la disposizione dell’art. 9, 3°comma, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (c.d. testo unico degli enti locali):

3. Le associazioni di protezione ambientale di cui all’art. 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349, possono proporre le azioni risarcitorie di competenza del giudice ordinario che spettino al comune e alla provincia, conseguenti a danno ambientale. L’eventuale risarcimento è liquidato in favore dell’ente sostituito e le spese processuali sono liquidate in favore o a carico dell’associazione.

3. I requisiti di legittimazione.
(punti 5 - “Come sono stabiliti i requisiti di legittimazione?” - e 6 - “Che tipo di criteri sono previsti?” - dello schema proposto).

I requisiti di legittimazione (criteria for standing) sono stati elaborati inizialmente dalla giurisprudenza in materia di associazioni ambientaliste.
Chiarito che la questione non si pone per gli enti esponenziali pubblici (es. Consigli degli ordini professionali o Comuni ai sensi degli artt. 3 e 13 d.lgs. n. 267/2000), e superato, come si è detto, il profilo (avente rilievo meramente formale) della natura giuridica dei soggetti portatori di interessi colletttivi, si è riconosciuta la legittimazione ai soggetti in possesso dell’aspetto sostanziale della rappresentatività, ossia della “finalizzazione dell’attività di quell’organismo alla tutela dell’interesse di cui si fa portatore”.
In assenza di specifici parametri normativi, la rappresentatività è stata desunta (per le associazioni ambientaliste) da una serie di indici di matrice giurisprudenziale, quali in particolare: a) il fine istituzionale (lo statuto deve prevedere come fine istituzionale la protezione di un determinato bene a fruizione collettiva); b) la stabilità della struttura (l’ente deve essere in grado, per la sua organizzazione, di realizzare le proprie finalità e deve svolgere all’esterno la propria attività in via continuativa; il che vale ad escludere dalla legittimazione comitati spontanei e associazioni c.d. di comodo); c) la vicinitas o stabile collegamento territoriale tra l’area di afferenza dell’attività dell’ente e la zona in cui si trova il bene a fruizione collettiva asseritamente leso.
Le difficoltà pratiche di individuazione dei soggetti legittimati hanno indotto il legislatore a prevedere un sistema composito per l’individuazione di quelli più rappresentativi.
Giova al riguardo richiamare l’art. 5 l. 281/1998

Art. 5
Elenco delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale.

1. Presso il Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato è istituito l’elenco delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale.
2. L’iscrizione nell’elenco è subordinata al possesso, da comprovare con la presentazione di documentazione conforme alle prescrizioni e alle procedure stabilite con decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, dei seguenti requisiti:
a) avvenuta costituzione, per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, da almeno tre anni e possesso di uno statuto che sancisca un ordinamento a base democratica e preveda come scopo esclusivo la tutela dei consumatori e degli utenti, senza fine di lucro;
b) tenuta di un elenco degli iscritti, aggiornato annualmente con l’indicazione delle quote versate direttamente all’associazione per gli scopi statutari;
c) numero di iscritti non inferiore allo 0,5 per mille della popolazione nazionale e presenza sul territorio di almeno cinque regioni o province autonome, con un numero di iscritti non inferiore allo 0,2 per mille degli abitanti di ciascuna di esse, da certificare con dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà resa dal legale rappresentante dell’associazione con le modalità di cui all’articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15;
d) elaborazione di un bilancio annuale delle entrate e delle uscite con indicazione delle quote versate dagli associati e tenuta dei libri contabili, conformemente alle norme vigenti in materia di contabilità delle associazioni non riconosciute;
e) svolgimento di un’attività continuativa nei tre anni precedenti;
f) non avere i suoi rappresentanti legali subìto alcuna condanna, passata in giudicato, in relazione all’attività dell’associazione medesima, e non rivestire i medesimi rappresentanti la qualifica di imprenditori o di amministratori di imprese di produzione e servizi in qualsiasi forma costituite, per gli stessi settori in cui opera l’associazione.
3. Alle associazioni dei consumatori e degli utenti è preclusa ogni attività di promozione o pubblicità commerciale avente per oggetto beni o servizi prodotti da terzi ed ogni connessione di interessi con imprese di produzione o di distribuzione.
4. Il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato provvede annualmente all’aggiornamento dell’elenco.
5. All’elenco di cui al presente articolo possono iscriversi anche le associazioni dei consumatori e degli utenti operanti esclusivamente nei territori ove risiedono minoranze linguistiche costituzionalmente riconosciute, in possesso dei requisiti di cui al comma 2, lettere a) , b) , d) , e) e f) , nonché con un numero di iscritti non inferiore allo 0,5 per mille degli abitanti della regione o provincia autonoma di riferimento, da certificare con dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà resa dal legale rappresentante dell’associazione con le modalità di cui all’articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15.
5-bis Il Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato comunica alla Commissione europea l’elenco di cui al presente articolo e le successive variazioni, al fine dell’iscrizione nell’elenco degli enti legittimati a proporre azioni inibitorie a tutela degli interessi collettivi dei consumatori. (2)
- - - - - - - - - - - - - - - -
(1) Per tale elenco v. d.m. 9 novembre 2000, d.m. 7 novembre 2001, d.m. 28 novembre 2002, d.m. 6 novembre 2003, d.m. 19 maggio 2004.
(2) Il comma è stato aggiunto dall’art. 3, d.lgs. 23 aprile 2001, n. 224.

nonché, per le associazioni ambientaliste, il già visto l’art. 13 l. n. 349/1986:

1. Le associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale e quelle presenti in almeno cinque regioni sono individuate con decreto del Ministro dell’ambiente sulla base dellefinalità programmatiche e dell’ordinamento interno democratico previsti dallo statuto, nonché della continuità dell’azione e della sua rilevanza esterna, previo parere del Consiglio nazionale per l’ambiente da esprimere entro novanta giorni dalla richiesta. Decorso tale termine senza che il parere sia stato espresso, il Ministro dell’ambiente decide.

e per le associazioni di volontariato, l’art. 3, 3° comma, l. n. 266/1991 (requisiti il cui possesso consente l’iscrizione negli appositi registri previsti dall’art. 6):

3. Negli accordi degli aderenti, nell’atto costitutivo o nello statuto, oltre a quanto disposto dal codice civile per le diverse forme giuridiche che l’organizzazione assume, devono essere espressamente previsti l’assenza di fini di lucro, la democraticità della struttura, l’elettività e la gratuità delle cariche associative nonché la gratuità delle prestazioni fornite dagli aderenti, i criteri di ammissione e di esclusione di questi ultimi, i loro obblighi e diritti. Devono essere altresì stabiliti l’obbligo di formazione del bilancio, dal quale devono risultare i beni, i contributi o i lasciti ricevuti, nonché le modalità di approvazione dello stesso da parte dell’assemblea degli aderenti.

Evidentemente, un’associazione che consegue molteplici iscrizioni sarà legittimata a tutelare una serie di interessi collettivi [19].
Autonoma rilevanza assumono le associazioni sindacali, i cui criteri di riconoscimento si fondano essenzialmente sulla loro “maggiore rappresentatività”.
Si consideri, ad es., l’art. 19 l 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. Statuto dei lavoratori)

Art. 19
Costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali.
Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito:
[ a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale] (1);
b) delle associazioni sindacali, [non affiliate alle predette confederazioni,] che siano firmatarie di contratti collettivi [nazionali o provinciali] di lavoro applicati nell’unità produttiva (1).
Nell’ambito di aziende con più unità produttive le rappresentanze sindacali possono istituire organi di coordinamento.

 - - - - - - - - - - - - 
(1) Con d.p.r. 28 luglio 1995, n. 312, in esito al referendum indetto con d.p.r. 5 aprile 1995 è stata abrogata la lettera a) e la lettera b), limitatamente alle parole "non affiliate alle predette confederazioni" e alle parole "nazionali o provinciali". 
I criteri per l’accertamento del requisito della rappresentatività delle organizzazioni sindacali operanti nel settore pubblico sono in particolare disciplinati dall’art. 43 del D.Lgs. 165/2001 e dall’art. 19 del Contratto collettivo nazionale quadro del 7 agosto 1998 sulle modalità di utilizzo dei distacchi, aspettative e permessi nonché delle altre prerogative sindacali [20].
Anche per i partiti politici valgono regole del tutto peculiari, connettendosi le medesime alla disciplina dei procedimenti e dei giudizi elettorali.
Si può dunque concludere nel senso del rilievo della presenza di un sistema composito, nel quale hanno rilievo tanto le singole decisioni del giudice amministrativo quanto i provvedimenti amministrativi individuali che, variamente denominati (iscrizioni in registri o elenchi, autorizzazioni, ecc.), consentono di riconoscere una posizione differenziata in capo all’organismo collettivo.

4. Campi di operatività.
(punto 7 dello schema proposto).

Le associazioni non lucrative possono agire in ciascuno degli ambiti evidenziati (ambiente, urbanistica, tutela dei consumatori, impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, nei limiti in cui si riconosca la loro legittimazione). Giova peraltro chiarire che a regole proprie sono assoggettate le procedure elettorali mentre non constano, per quanto è dato sapere, pronunce in tema di immigrazione e diritto di asilo nonché di educazione.

5. Esame comparativo e dati statistici.
(punto 8 dello schema proposto).

Quanto alla differenza tra la posizione dei singoli e quella delle associazioni, pare chiaro che in un sistema incentrato sulla personalità dell’interesse a ricorrere è più agevole per i primi proporre ricorso al giudice amministrativo. Per le seconde sorgono sovente problemi in tema di legittimazione, tanto che il giudice è chiamato a delibare questioni preliminari relative a questo aspetto. Per il resto non vi sono sostanziali differenze: una volta riconosciuta la legittimazione, l’associazione ha di norma tutti i poteri del singolo.
Nelle altre branche del diritto la posizione di tali associazioni è peculiare, in quanto la cognizione degli interessi collettivi spetta di norma al giudice amministrativo. Si danno tuttavia casi in cui esse possono intraprendere un giudizio civile (clausole abusive e tutela dei consumatori) o comunque costituirsi quali parte civile nei giudizi penali (per il che non paiono esistere regole diverse, in punto di legittimazione, da quelle sopra esaminate).
Si omette, inoltre, di fornire dati statistici per la difficoltà del reperimento dei medesimi.
Rimane da dire, quanto all’influenza delle organizzazioni non lucrative sulla giurisprudenza, che esse in astratto non sono trattate diversamente rispetto ai singoli individui. Tuttavia, agendo di fatto a tutela di interessi superindividuali, possono in concreto esplicare un ruolo ben più penetrante di quello del singolo.



II. Accesso indiretto a supporto di singoli individui per azioni previamente instaurate da o nei confronti degli stessi.

Nel sistema di giustizia amministrativa italiano la legittimazione ad intervenire è legata alla sussistenza di un interesse, ancorché non qualificato, alla soluzione della questione controversa.
Si parla naturalmente dell’intervento che non sottende una posizione giuridica propria dell’associazione o ad essa spettante in punto di legittimazione (casi nei quali valgono le regole esposte nella prima parte).
L’intervento di tal genere (nelle due forme di intervento ad adiuvandum ad opponendum) è quindi comunemente consentito, essendo assai rari i casi in cui non venga riconosciuta la relativa legittimazione.

Footnotes

[1Sul significato di tali disposizioni e per l’evoluzione della loro interpretazione v. F. Caringella, Corso di diritto amministrativo, III ed., Milano, Giuffré, 2004, pp. 631 ss.; A. Romano (a cura di), Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, Padova, Cedam, 2001, pp. 348 ss..

[2Per le citazioni nel testo v. Caringella, Corso … cit., pp. 635 e 636.

[3Le associazioni non riconosciute, prendono vita dall’accordo degli associati tramite un contratto di associazione, contratto per il quale la legge non prescrive di norma alcuna formalità. Gli elementi su cui si devono accordare le parti sono semplicemente: lo scopo, le condizioni per l’ammissione degli associati, le regole sull’ordinamento interno e l’amministrazione. Le associazioni riconosciute sono quelle che hanno chiesto ed ottenuto il riconoscimento dello Stato o delle Regioni; in questo modo acquistano l’autonomia patrimoniale, la limitazione di responsabilità degli amministratori, la possibilità di accettare eredità, legati e donazioni e di acquistare immobili.

[4Il punto di svolta risale a Cons. Stato, ad. plen., 19 ottobre 1979, n. 24, sulla legittimazione a ricorrere dell’associazione Italia Nostra in tema di difesa dell’ambiente.

[5Si tratta di quei soggetti “eredi naturali della secolare tradizione del mutualismo e del solidarismo”, atti a rappresentare “lo scenario sociale italiano per la difesa e lo sviluppo dei diritti civili, per la promozione culturale, per il radicamento territoriale, per la promozione ad una moderna partecipazione civile, per la comprensione dell’immigrazione, delle tematiche ambientali e della solidarietà”.

[6Cfr., in senso negativo, T.a.r. Lazio, sez. I, 20 gennaio 1995, n. 62; nell’altro senso, T.a.r. Piemonte 6 maggio 1999, n. 240 (entrambe cit. da Caringella, Corso… cit., p. 642).

[7Cons. Stato, sez. IV, 2 aprile 2004, n. 1826.
Per Cons. Stato, sez. VI, 14 gennaio 2003, n. 93, l’interesse sul quale poggia la legittimazione delle associazioni professionali ad agire in giudizio non corrisponde alla somma degli interessi individuali dei singoli iscritti, ma deve avere carattere collettivo, con riferimento alla categoria considerata in modo complessivo ed unitario. Con l’ulteriore conseguenza che le associazioni di categoria possono fare valere in giudizio gli interessi propri dell’intera categoria a condizione che gli interessi individuali degli iscritti, o degli appartenenti alla categoria, siano univocamente conformi a quello a tutela del quale l’associazione agisce e non siano in contrasto, neanche potenzialmente, tra i vari iscritti.

[8Giurisprudenza pacifica.

[9Cons. Stato, sez. VI, 1° marzo 2002, n. 1258.

[10Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 2005, n. 280.

[11Cons. Stato, sez. IV, 16 dicembre 2003, n. 8234: “le associazioni ambientaliste ex art. 13 … trovano nella norma sia la legittimazione ad agire che il relativo limite, nel senso che la titolarità dell’interesse assume valenza di disposizione legittimante. Occorre quindi, ai fini della legittimazione, che il provvedimento da impugnare leda in modo diretto ed immediato l’interesse dedotto; e che, inoltre, il vizio dedotto, se accolto, consneta un’utilità al ricorrente direttamente rapportata alla sua posizione legittimante, ossia un’utilità che sia in correlazione con l’interesse all’ambiente”; v. anche Cons. Stato, sez. IV, 13 marzo 2001, n. 1382 e 11 luglio 2001, n. 3878 (tale giurisprudenza si fonda sul carattere di eccezionalità della legitimatio ad causam contenuta negli artt. 13 e 18 l. n. 349/86).

[12Cons. Stato, sez. VI, 26 luglio 2001, n. 4123; Cons. Stato, sez. V, 1° dicembre 1999, n. 2030.

[13Viene qui in rilievo la tematica dell’“interesse strumentale”, mediante il quale si tende a rimettere in discussione il rapporto controverso ai fini della riedizione del potere in termini potenzialmente idonei ad evitare il pregiudizio sofferto o a conseguire il vantaggio sperato (cfr. Caringella, op. cit., p. 645).

[14V. l’art. 22 l. 7 agosto 1990, n. 241, come modif. dall’art. 15 l. 11 febbraio 2002, n. 15, che definisce gli “interessati” come “tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”.

[15Cons. Stato, sez. IV, 17 aprile 2003, n. 2021: il Codacons può agire in giudizio a tutela degli associati (consumatori ed utenti); e correlativamente a tale possibilità di azione è da intendersi titolare dello strumentale diritto di accesso agli atti e documenti che concernono l’andamento dei prezzi ed il costo della vita.
Rimane fermo che il diritto di accesso ex art. 22 l. 7 agosto 1990 n. 241, non configura un’azione popolare diretta al controllo sull’attività della p.a. da parte di persone fisiche o giuridiche o di associazioni di cittadini, ma necessita di un interesse concreto legittimante (T.A.R. Lazio, sez. II, 13 gennaio 1999, n. 202).

[16T.A.R. Piemonte, sez. II, 12 gennaio 2002, n. 60: Le associazioni sindacali sono titolari nei confronti delle p.a. di una posizione giuridica qualificata relativamente alla corretta applicazione delle norme recate dalle contrattazioni collettive, comprese quelle afferenti le selezioni del personale per il conferimento di particolari incarichi, al fine di permettere la verifica che dette procedure si siano svolte nel rispetto delle regole di trasparenza. Peraltro, tale controllo non può spingersi fino al punto di entrare nel merito delle singole valutazioni degli aspiranti, attraverso l’esame dei documenti contenenti gli elementi soggettivi offerti ai fini valutativi, considerato che il diritto di accesso non comporta un indiscriminato potere esplorativo o di vigilanza sull’operato dell’amministrazione.

[17Art. 26 l. 383/2000 (Diritto all’informazione ed accesso ai documenti amministrativi): “1. Alle associazioni di promozione sociale è riconosciuto il diritto di accesso ai documenti amministrativi di cui all’art. 22, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241. 2. Ai fini di cui al comma 1 sono considerate situazioni giuridicamente rilevanti quelle attinenti al perseguimento degli scopi statutari delle associazioni di promozione sociale”.
Art.11 l. 266/1991 (Diritto all’informazione ed accesso ai documenti amministrativi): “1. Alle organizzazioni di volontariato, iscritte nei registri di cui all’articolo 6, si applicano le disposizioni di cui al capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241. 2. Ai fini di cui al comma 1 sono considerate situazioni giuridicamente rilevanti quelle attinenti al perseguimento degli scopi statutari delle organizzazioni”.
Per T.A.R. Lazio, sez. III, 18 maggio 2004, n. 4637, “l’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti - U.A.A.R. -, che afferma di avere tutti i requisiti per essere considerata un’associazione di promozione sociale di cui all’art. 2 l. n. 383 del 2000, non è iscritta nell’elenco di cui all’art. 7 della predetta legge, per cui non può invocare il diritto all’accesso ‘per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti attinenti al perseguimento degli scopi statutari delle associazioni di promozione sociale’ previsto dall’art. 26 della citata legge”.

[18Cass., sez. un., ord. 9 marzo 2005, n. 5078, che sembra aver definitivamente superato Cass., Sez. un., 24 settembre 2004, n. 19200.

[19T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 19 novembre 2002, n. 7268: il Codacons, inserito nell’elenco delle associazioni di consumatori (cfr. art. 5, l. n. 281 del 1998), iscritto nel registro regionale delle associazioni di volontariato (cfr. art. 6, l. n. 266 del 1991) e riconosciuto come associazione di protezione ambientale (cfr. art. 13, l. n. 349 del 1986), ha la legittimazione a agire in giudizio, oltre che per la tutela degli interessi individuali suoi propri come soggetto giuridico, anche per la difesa degli interessi recepiti nelle finalità statutarie (cfr. art. 3, l. n. 281 del 1998; art. 11, l. n. 266 del 1991; art. 18, l. n. 349 del 1986); se dunque è da escludere la legittimazione del Codacons nei giudizi che non riguardano questioni che abbiano attinenza con la materia ambientale o con l’attività di volontariato, va invece, riconosciuta la legittimazione dell’associazione ad agire nei confronti della Asl a tutela dell’interesse collettivo ad una corretta organizzazione ed erogazione dei pubblici servizi sanitari.

[20Si riporta il testo dell’articolo:
1. L’ARAN ammette alla contrattazione collettiva nazionale le organizzazioni sindacali che abbiano nel comparto o nell’area una rappresentatività non inferiore al 5 per cento, considerando a tal fine la media tra il dato associativo e il dato elettorale. Il dato associativo è espresso dalla percentuale delle deleghe per il versamento dei contributi sindacali rispetto al totale delle deleghe rilasciate nell’ambito considerato. Il dato elettorale è espresso dalla percentuale dei voti ottenuti nelle elezioni delle rappresentanze unitarie del personale, rispetto al totale dei voti espressi nell’ambito considerato.
2. Alla contrattazione collettiva nazionale per il relativo comparto o area partecipano altresì le confederazioni alle quali le organizzazioni sindacali ammesse alla contrattazione collettiva ai sensi del comma 1 siano affiliate.
3. L’ARAN sottoscrive i contratti collettivi verificando previamente, sulla base della rappresentatività accertata per l’ammissione alle trattative ai sensi del comma 1, che le organizzazioni sindacali che aderiscono all’ipotesi di accordo rappresentino nel loro complesso almeno il 51 per cento come media tra dato associativo e dato elettorale nel comparto o nell’area contrattuale, o almeno il 60 per cento del dato elettorale nel medesimo ambito.
4. L’ARAN ammette alla contrattazione collettiva per la stipulazione degli accordi o contratti collettivi che definiscono o modificano i comparti o le aree o che regolano istituti comuni a tutte le pubbliche amministrazioni o riguardanti più comparti, le confederazioni sindacali alle quali, in almeno due comparti o due aree contrattuali, siano affiliate organizzazioni sindacali rappresentative ai sensi del comma 1.
5. I soggetti e le procedure della contrattazione collettiva integrativa sono disciplinati, in conformità all’articolo 40, comma 3, dai contratti collettivi nazionali, fermo restando quanto previsto dall’articolo 42, comma 7, per gli organismi di rappresentanza unitaria del personale.
6. Agli effetti dell’accordo tra l’ARAN e le confederazioni sindacali rappresentative, previsto dall’articolo 50, comma 1, e dei contratti collettivi che regolano la materia, le confederazioni e le organizzazioni sindacali ammesse alla contrattazione collettiva nazionale ai sensi dei commi precedenti, hanno titolo ai permessi, aspettative e distacchi sindacali, in quota proporzionale alla loro rappresentatività ai sensi del comma 1, tenendo conto anche della diffusione territoriale e della consistenza delle strutture organizzative nel comparto o nell’area.
7. La raccolta dei dati sui voti e sulle deleghe è assicurata dall’ARAN. I dati relativi alle deleghe rilasciate a ciascuna amministrazione nell’anno considerato sono rilevati e trasmessi all’ARAN non oltre il 31 marzo dell’anno successivo dalle pubbliche amministrazioni, controfirmati da un rappresentante dell’organizzazione sindacale interessata, con modalità che garantiscano la riservatezza delle informazioni. Le pubbliche amministrazioni hanno l’obbligo di indicare il funzionario responsabile della rilevazione e della trasmissione dei dati. Per il controllo sulle procedure elettorali e per la raccolta dei dati relativi alle deleghe ÌARAN si avvale, sulla base di apposite convenzioni, della collaborazione del Dipartimento della funzione pubblica, del Ministero del lavoro, delle istanze rappresentative o associative delle pubbliche amministrazioni.
8. Per garantire modalità di rilevazione certe ed obiettive, per la certificazione dei dati e per la risoluzione delle eventuali controversie è istituito presso ÌARAN un comitato paritetico, che può essere articolato per comparti, al quale partecipano le organizzazioni sindacali ammesse alla contrattazione collettiva nazionale.
9. Il comitato procede alla verifica dei dati relativi ai voti ed alle deleghe. Può deliberare che non siano prese in considerazione, ai fini della misurazione del dato associativo, le deleghe a favore di organizzazioni sindacali che richiedano ai lavoratori un contributo economico inferiore di più della metà rispetto a quello mediamente richiesto dalle organizzazioni sindacali del comparto o dell’area.
10. Il comitato delibera sulle contestazioni relative alla rilevazione dei voti e delle deleghe. Qualora vi sia dissenso, e in ogni caso quando la contestazione sia avanzata da un soggetto sindacale non rappresentato nel comitato, la deliberazione è adottata su conforme parere del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro - CNEL, che lo emana entro quindici giorni dalla richiesta. La richiesta di parere è trasmessa dal comitato al Ministro per la funzione pubblica, che provvede a presentarla al CNEL entro cinque giorni dalla ricezione.
11. Ai fini delle deliberazioni, l’ARAN e le organizzazioni sindacali rappresentate nel comitato votano separatamente e il voto delle seconde è espresso dalla maggioranza dei rappresentanti presenti.
12. A tutte le organizzazioni sindacali vengono garantite adeguate forme di informazione e di accesso ai dati, nel rispetto della legislazione sulla riservatezza delle informazioni di cui alla legge 31 dicembre 1996, n. 675, e successive disposizioni correttive ed integrative.
13. Ai sindacati delle minoranze linguistiche della Provincia di Bolzano e delle regioni Valle d’Aosta e Friuli-Venezia Giulia, riconosciuti rappresentativi agli effetti di speciali disposizioni di legge regionale e provinciale o di attuazione degli Statuti, spettano, eventualmente anche con forme di rappresentanza in comune, i medesimi diritti, poteri e prerogative, previsti per le organizzazioni sindacali considerate rappresentative in base al presente decreto. Per le organizzazioni sindacali che organizzano anche lavoratori delle minoranze linguistiche della provincia di Bolzano e della regione della Val d’Aosta, i criteri per la determinazione della rappresentatività si riferiscono esclusivamente ai rispettivi ambiti territoriali e ai dipendenti ivi impiegati.